Il cinese che veniva dal Tirolo

Il cinese che veniva dal Tirolo

Il cinese che veniva dal TiroloLa Cina è vicina, recitava un celebre slogan qualche anno fa. E in effetti Cina e Tirolo, nella storia, sono stati molto più vicini di quanto si pensi.

Il primo importante rapporto tra i due territori fu quello instaurato dal gesuita trentino Martino Martini, nato a Trento nel 1614 e morto ad Hangzhou nello Zhejiang nell’anno 1661. Martini fu un personaggio di primo piano nella storia culturale del Seicento per il suo ruolo di mediatore tra la civiltà cinese e l’Occidente. Gesuita, fu missionario in Cina per diciassette anni e fu autore di una grande messe di opere di interesse geografico e cartografico, stampate in latino. Tra queste la prima grammatica del Cinese Mandarino, scritta secondo il metodo occidentale e il primo Atlante dell’Impero cinese stampato in Europa, basato su fonti cinesi, contenente mappe dedicate a ciascuna Provincia e non solo delle coste. Martini è stato anche autore della prima antologia sulla filosofia morale, scritta da un occidentale in lingua cinese, intotolata “Qiu you pian“.

Nell’Ottocento tuttavia un altro missionario, poi definito “il cinese che veniva dal Tirolo”, Giuseppe Freinademetz, lasciò le montagne tirolesi per recarsi in Cina. Padre Giuseppe Freinademetz nasce ad Ojes in val Badia nel 1852, in una famiglia religiosissima. Viene ordinato sacerdote nel 1875, entra nella Congregazione del Verbo Divino e parte per la Cina. Va prima ad Hong Kong, poi nello Shan-tung, dove si dedica per quasi 30 anni all’attività apostolica e missionaria; cura con amore la formazione del clero locale e scrive per gli studiosi cinesi un trattato di teologia. Quando nel 1882 arriva nello Shandong, i battezzati sono 158; alla sua morte, 26 anni dopo, oltre 40mila. Viene perseguitato, come tutti gli altri missionari cristiani, dai famigerati «Boxers», membri di una società segreta cinese, promotori di un movimento xenofobo scoppiato dopo la sconfitta della Cina da parte del Giappone nel 1895 (se non l’avete mai fatto, leggetevi il romanzo “Il Sotterraneo della Morte: La Rivolta dei Boxers” di Emilio Salgari). Nello Shan-tung gli scontri furono molto violenti, appoggiati dall’imperatrice vedova Tzu Hsi e dal suo consigliere il principe Tuan i rivoltosi ammazzarono centinaia di missionari e cinesi cattolici convertiti. Padre Giuseppe Freinademetz riesce a scampare da questa persecuzione, morendo invece di tifo a Taickianckwang il 28 gennaio 1908. La sua causa di beatificazione è stata avviata nel 1951, è stato beatificato nel 1975 da Papa Paolo VI e canonizzato da papa Giovanni Paolo II nel 2003. Freinademetz parte da un’iniziale diffidenza verso una cultura “altra”, egli infatti considera i cinesi “poveri pagani”, ma poi finisce per integrarsi totalmente col popolo tra cui Dio lo ha inviato, dichiarando: “Desidero essere cinese anche in paradiso”. La sua è la vicenda di un missionario che per annunciare Gesù si è immerso in un mondo totalmente altro, è stato protagonista di un’esistenza avventurosa (viaggi, pericoli, fame, persecuzioni…) in nome del Vangelo. Papa Benedetto XVI l’ha definito “un cristiano dalla fede bella e rocciosa come le sue Dolomiti”.

Sempre nell’Ottocento, da non dimenticare il viaggio in oriente di don Giuseppe Grazioli, questa volta non per motivi religiosi, ma economici. Grazioli nasce a Lavis nel 1808. Nel 1836 viene assegnato alla parrocchia di Strigno. A metà degli anni ’50 dell’800 inizia a interessarsi all’allevamento dei bachi da seta, attività economica praticata da moltissime famiglie, ma messa in pericolo dalla diffusione di una malattia, la pebrina, che colpiva i bachi. Risale al 1858 il primo dei suoi undici viaggi di studio, compiuto in Dalmazia e privo di risultati perché conclusosi con il ritrovamento di esemplari di seme già infetto. Infruttuoso anche quello dell’anno successivo, in direzione di Bucarest. Nel 1860, partito con il solo ausilio di un servitore e diretto nuovamente a Bucarest, il G. riuscì a trovare un seme che, dopo un travagliato rientro da Costantinopoli a Trieste, si rivelò non completamente sano. Nel 1861 venne inviato in Asia minore, dove la pebrina non aveva ancora attecchito e dove furono conclusi buoni acquisti a Smirne e a Salonicco. La quinta spedizione, nel 1862, consentì al Grazioli, in condizioni particolarmente difficili per i lunghi spostamenti a dorso di mulo o a cavallo, approvvigionamenti in Macedonia e a Bucarest. Con il sesto e ultimo viaggio (1863) furono raccolte 17.000 once di seme tra i circassi del Caucaso, in Georgia e in Russia. La notizia che in Lombardia aveva avuto successo l’impianto di un seme giapponese convinse il Grazioli ad arrivare in Estremo Oriente, vincendo le difficoltà economiche dell’organizzazione del lungo viaggio e si imbarcò alla volta del Giappone nel 1864. Altre quattro spedizioni vennero effettuate tra il 1865 e il 1868. Si trattò di itinerari di durata relativamente breve (4-6 mesi), finalizzati all’acquisto del seme-bachi, con tappe a Suez, Ceylon, Singapore, Hong Kong, Shanghai e meta finale Yokohama, vicino a Tokyo.

Per approfondire:

 

Molti sono i libri di e su Giuseppe Freinademetz, “il cinese che veniva dal Tirolo”:

Pubblicato da Daiana Boller

Daiana Boller (Trento, 1981) si è laureata in storia locale con una tesi sul principe vescovo di Trento Alessandro di Masovia (1423-1444) ed è autrice del libro "Welschtirol".

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.