Secondo alcune stime, alla fine del 1914 in Serbia si contavano oltre 60.000 prigionieri dell’esercito tedesco e asburgico: un numero impressionante per uno stato così piccolo, tanto più dopo sei mesi di conflitto. Fin da subito infatti i campi di prigionia si mostrarono inadeguati ad accogliere un numero simile di prigionieri: agli episodi di maltrattamento e violenza, alle ruberie e alla fame, al duro lavoro in opere civili e militari, si sommarono ben presto le epidemie di tifo, colera e dissenteria, che decimarono velocemente i prigionieri.
Nell’autunno del 1915 l’esercito tedesco e quello austroungarico da nord e quello bulgaro appena entrato in guerra da est lanciano una feroce offensiva contro la Serbia, riuscendo infine ad occuparla. Quando nell’ottobre 1915 Belgrado venne occupata, l’esercito, il governo e la popolazione serba furono messi in fuga. Fu una catastrofe umanitaria: una marea di persone venne costretta ad abbandonare improvvisamente le proprie case, inseguita dai soldati. Molti morirono per la fame, il freddo e la malattia, mentre i sopravvissuti si riversarono sulle coste albanesi. Quando gli eserciti degli Imperi centrali cominciarono a dirigersi verso il Montenegro e i confini dell’Albania, lo sgombero degli esuli divenne urgente. Le marine italiane, francesi e inglesi organizzarono il trasporto dei civili e militari serbi verso sud, nelle isole greche e soprattutto a Corfù.
Anche i prigionieri, già sfiancati, furono trascinati nella fuga e sottoposti a marce estenuanti e a privazioni di ogni sorta. Anche loro dovevano essere trasferiti il prima possibile, ma Italia e Francia si contendevano il controllo sull’operazione. L’Italia, che mirava ad assicurarsi un ruolo guida nei Balcani, ebbe infine la meglio riuscendo a farsi riconoscere il diritto di gestire l’emergenza, salvo poi dimostrarsi del tutto impreparata.
A metà dicembre 1915 cominciò il trasferimento dei prigionieri all’isola dell’Asinara, dove fin dal 1885 esisteva un centro di isolamento per malati infettivi. Gran parte di loro mostrava i sintomi del colera, quindi secondo i piani originari i prigionieri dovevano essere visitati prima dell’imbarco e successivamente trasferiti in piccolo gruppi nel centro sanitario all’Asinara, che poteva ospitare un migliaio di pazienti alla volta. Dopo le necessarie procedure di disinfezione e un periodo di quarantena, i prigionieri guariti sarebbero stati smistati e trasferiti in altri campi in Italia, permettendo così l’arrivo di un nuovo gruppo di soldati all’Asinara. Ma la situazione precipitò velocemente, come le condizioni sanitarie dei prigionieri ammassati sul molo di Valona. Lo sgombero non poteva più essere rimandato, così fra il 16 e il 30 dicembre 1915, 21.388 prigionieri vennero trasferiti con 10 piroscafi all’Asinara; altri 2.618 soldati furono trasportati fra il 2 gennaio e l’8 marzo 1916.
In solo 8 settimane 24.000 uomini raggiunsero la piccola isola nei pressi della costa sarda. Più di 1.500 uomini, già colpiti dall’epidemia a Valona, morirono durante il viaggio oppure mentre attendevano di sbarcare. Si crearono le condizioni ideali per il diffondersi delle malattie, soprattutto del colera, tanto che i comandanti dei piroscafi si videro costretti a prendere più volte il largo per abbandonare in mare i cadaveri. Sulla terraferma intanto dal 7 al 14 gennaio 1916 perirono più di 1.300 prigionieri. Le condizioni sull’isola erano drammatiche: 7.000 prigionieri morirono nei primi 3 mesi.
E’ uscito recentemente un nuovo libro che parla delle tristi vicende dei prigionieri trentino-tirolesi durante la prima guerra mondiale, in particolare di quelli catturati dall’esercito del Regno d’Italia.
Il libro “Dai Balcani all’Asinara” racconta la storia dei 4.000 Landstürmer tirolesi del 1° reggimento e del 27° battaglione di marcia che, con lo scoppio della Prima guerra mondiale, furono mandati sul fronte balcanico, a combattere contro la Serbia.
Per la prima volta la vicenda di questi uomini viene raccontata in lingua italiana e in maniera completa.
La ricerca condotta dagli Autori ha interessato numerose fonti bibliografiche, dell’epoca e non, fonti provenienti da banche dati e vari archivi storici, articoli pubblicati sui giornali di guerra del periodo, testimonianze in lingua italiana, tedesca, francese, ceca, ungherese, inglese e russa.
Il volume riporta inoltre il primo censimento dei tirolesi morti nella campagna di Serbia del 1914 e negli episodi successivi del fronte balcanico.
Alla prima parte del volume, dedicata alle vicende sul fronte balcanico, segue il racconto della prigionia di guerra sull’isola dell’Asinara, prigionia protrattasi anche dopo il conflitto mondiale. Le vicende dei reduci della Serbia si incrociano con quelle di altri tirolesi e commilitoni dell’esercito austro-ungarico che, provenendo dai fronti dell’Isonzo e del Trentino, finirono a scontare la prigionia all’Asinara.
Per la prima volta si è tentato, attraverso la consultazione e l’analisi di più elenchi, di ottenere una stima dei prigionieri morti sull’isola sarda durante il periodo di funzionamento del grande campo di concentramento.
Dalle pagine di questo libro emerge un cammino di sofferenze, che nelle vicende dei combattenti del primo conflitto mondiale difficilmente trova eguali: non un’odissea – termine che potrebbe indurre il lettore a qualcosa di vagamente avventuroso – ma un Calvario, un cammino di dolore che si accentuò man mano scorse il tempo.
Dai Balcani all’Asinara, di Giovanni Terranova e Marco Ischia
Editore: Comitato storico “Ludwig Riccabona”, 608 pagg. b/n e colori
Il libro verrà presentato per iniziativa del Circolo Gaismayr venerdì 17 novembre alle ore 20.30 presso l’hotel America, in via Torre Verde 50 a Trento.
Sull’argomento si segnala anche il volume dello storico Luca Gorgolini intitolato I dannati dell’Asinara: L’odissea dei prigionieri austro-ungarici nella Prima guerra mondiale (clicca per dettagli), uscito per UTET nel 2011 (traduzione tedesca a cura di Günther Gerlach: Kriegsgefangenschaft auf Asinara, Innsbruck 2012; in serbo: Проклети са Азинаре, Prometej, Novi Sad, 2014).
Sempre sull’argomento:
- E’ noto che…: Il campo di prigionia di Servigliano nella prima guerra mondiale 1915 – 1920 (clicca per leggerne gratis un estratto) Il testo, basandosi su un rigoroso uso di documenti d’archivio, ricostruisce le fase della realizzazione e della gestione del campo di prigionia di Servigliano, destinato prima ai prigionieri austroungarici (1916- 1918) e successivamente ai prigionieri italiani redenti (1919 – 1920). Si tratta di un lavoro unico e originale che focalizza la propria attenzione sulla novità dei prigionieri nella prima guerra mondiale, tutelati dal Trattato dell’Aia del 1907. In particolare, si fa emergere la condizione dei prigionieri austriaci nel campo di Servigliano, nelle Marche.
- Reduci trentini prigionieri ad Isernia (1918-1920) di Luciana Palla. Sui prigionieri italiani redenti (1918 – 1920).
- Vita e morte dei prigionieri austro-ungarici sull’isola dell’Asinara (1915-1916). Un progetto di ricerca tra biologia, medicina e archeologia. A cura di E. Ughi e S. Rubino. Il volume raccoglie e divulga i risultati preliminari di una ricerca multidisciplinare bio-medica e bio-archeologica finalizzata a una analisi approfondita e puntuale di un evento emblematico, utile a ricostruire un ulteriore tassello della “follia della guerra”: la vicenda sanitaria dei prigionieri austro-ungarici trasferiti nel 1915 nel campo di concentramento allestito dalle autorità militari italiane presso l’isola dell’Asinara, in seguito alla capitolazione della Serbia, dopo il secondo attacco dell’esercito austro-ungarico, quando le truppe serbe intrapresero la marcia che da Belgrado li portò in Albania: l’esercito in ritirata trascinava con sé una massa di quarantamila prigionieri austro-ungarici. La ricerca descrive la situazione di emergenza e crisi umanitaria venutasi a creare sull’isola con l’esplodere di una terribile epidemia di colera che decimò gli sventurati soldati.
- Asinara, isola piccola, grande storia. Prigionieri e profughi della prima guerra mondiale di Assunta Trova e Giuseppe Zichi. L’album, conservato nell’Archivio centrale dello Stato, ricostruisce attraverso materiale documentario la prigionia dei “dannati dell’Asinara”. Prigionieri e profughi furono sistemati nelle diramazioni e negli accampamenti: morirono moltissimi per epidemie. L’album attraverso 51 fotografie (in bianco nero, con correzioni originali a colori) 11 fra piantine, mappe e cartine, 3 grafici e 2 disegni rappresenta scene di vita quotidiana: dall’arrivo all’organizzazione dei campi, ai luoghi di degenza. Il lavoro completato da un saggio che ricostruisce gli eventi dell’epoca nei quali la storia dell’Asinara si è intrecciata con la storia d’Italia.
- Tornare in Italia: Come i prigionieri trentini in Russia divennero italiani (1914-1920) (Pubblicazioni Ist. italo-germanico Trento) di Simone Attilio Bellezza (clicca per leggerne gratis un estratto). Il libro ricostruisce le vicende dei soldati trentini che, arruolati dall’esercito austro-ungarico durante la Prima guerra mondiale, caddero prigionieri sul fronte russo. La Russia zarista, nel tentativo di sfruttare le divisioni nazionali dell’Impero asburgico, propose loro di dichiararsi cittadini italiani e di essere inviati in Italia per combattere contro la loro vecchia patria. Dal 1916 il governo italiano accolse parzialmente questa strategia e inviò una missione militare in Russia per il recupero di questi italiani irredenti. Tali politiche generarono numerosi dubbi e riflessioni nei trentini, che fino ad allora si erano riconosciuti principalmente in una piccola comunità corrispondente al loro paese o al massimo alla regione. Alcuni, attraverso l’esperienza della prigionia e dell’arruolamento nei Battaglioni neri schierati contro i sovietici, acquisirono un forte senso di appartenenza italiana e andarono poi a costituire lo zoccolo duro del regime fascista nel Trentino italiano. Altri invece, sfuggiti ai processi di italianizzazione dei campi di prigionia, rimasero fedeli, più che agli Asburgo, alla propria piccola patria trentina. La ricerca è basata sull’analisi di decine di diari e memoriali scritti dagli stessi soldati: questi documenti riportano le avventure quasi epiche dei prigionieri che conobbero tanto la campagna russa quanto il freddo siberiano, tanto il regime nato dalla Rivoluzione d’ottobre quanto le strane usanze delle popolazioni asiatiche incontrate nel viaggio di ritorno. Da tutti emerge il ruolo della religione cattolica come elemento centrale delle identità personali e collettive, e come bussola per orientarsi nell’incontro con l’altro.
- I prigionieri di guerra austro-ungarici nei campi di concentramento italiani di Alfredo Fiorani ed Edoardo Puglielli.
- Grande guerra: L’anima è triste palpita il core. Prigionieri, piroscafi e speranze-Budet mir. Verrà la pace. Storie di uomini e donne che vissero la guerra in Russia di Fiorella Malfer Arlanch. Nel primo volume si narrano le vicissitudini di migliaia di uomini partiti nel 1914 come soldati austroungarici, resi prigionieri in Russia e ritornati in Trentino, Venezia Giulia e Istria come cittadini italiani tra il 1916 e il 1920. Sono stati inseriti anche i deceduti trentini aggregati alla Missione Italiana in Russia. Nel secondo volume si raccontano le storie private di alcuni prigionieri di varie valli trentine e le scelte da loro fatte per sopravvivere e poter tornare alle loro case.
- I prigionieri dello zar. Soldati italiani dell’esercito austro-ungarico nei lager della Russia (1914-1918) di Marina Rossi Varese.
- Italianski. L’epopea degli italiani dell’esercito austroungarico prigionieri in Russia nella grande guerra (1914-1918) di Renzo Francescotti.
- La croce e il filo spinato. Tra prigionieri e internati civili nella Grande Guerra 1914-1918. La missione umanitaria dei delegati religiosi. Nella Grande guerra 1914-1918 vennero per la prima volta creati grandi campi di concentramento di prigionieri e di internamento di civili, nei quali vennero rinchiusi milioni di persone che vi rimasero spesso per anni, sino alla fine delle ostilità e oltre, tra notevoli sofferenze per l’isolamento, la fame, le malattie e il rigore del trattamento, quando non vi trovarono la morte a seguito di ferite o di epidemie. L’azione di controllo e di soccorso della Croce Rossa Internazionale venne affiancata da organizzazioni umanitarie ma al contrasto della sindrome delle barriere di filo spinato, alla cura morale e spirituale e alla valorizzazione delle persone, insieme con la tessitura di legami con le famiglie e con concreti aiuti materiali, provvidero soprattutto le Chiese cristiane, la Santa Sede e gli episcopati, che si avvalsero di visitatori religiosi svizzeri cattolici e riformati, delegati ufficialmente dal loro Governo. Questi operarono in stretta solidarietà e spirito ecumenico, visitarono i campi di prigionia e di internamento delle due parti combattenti in tutta l’Europa e provvidero alla cura morale e spirituale e all’aiuto materiale dei prigionieri e degli internati civili, gettando così anche un seme di pace e di fratellanza.