Durante la prima guerra mondiale le donne, già impegnate a gestire l’economia familiare, furono mobilitate anche per ricoprire i posti di lavoro lasciati dagli uomini partiti per la guerra, sostenere il morale dei soldati e svolgere altri compiti. Una parte di loro accettò la guerra come una calamità, un’altra animò le manifestazioni di protesta, ma non mancò anche chi si schierò a sostegno del conflitto. Le donne furono chiamate ad affiancare e in molti casi anche a sostituire gli uomini in una vasta gamma di occupazioni: moltissime vennero impiegate nell’industria bellica, le crocerossine fornirono assistenza ai soldati, altre confezionavano da casa indumenti da inviare al fronte. Lavorarono come braccianti agricole, cuoche, medici, telegrafiste, dattilografe, macchiniste e poliziotte, continuando nello stesso tempo a svolgere le mansioni domestiche. In alcuni casi straordinari servirono anche come combattenti.
A cento anni da quegli eventi possiamo leggere nelle trasformazioni indotte dalla guerra una tappa del processo di emancipazione delle donne destinato a durare decenni. La guerra incrinò i modelli di comportamento e le relazioni tra generi e classi di età, nonché tra le varie classi sociali. Grazie alla guerra furono messi in discussione schemi fino ad allora ritenuti immutabili e gerarchie, distinzioni e autorità ritenute immutabili. La guerra provocò persino grandi cambiamenti nella moda femminile. Lo racconta il libro “Le donne la moda la guerra: emancipazione femminile e moda durante la prima guerra mondiale“, edito dal Museo della Guerra di Rovereto.
Numerose intellettuali rievocarono nei loro scritti la condizione delle donne durante la guerra. Fra queste Elody Oblath Stuparich, triestina di padre ungherese e madre veneta e moglie di Giani Stuparich, che fin dall’inizio della guerra aderì entusiasticamente alla causa irredentista. La scrittrice Clelia Gioseffi Trampus, autrice de “Il calvario“, vi racconta la storia della giovane Maria Ruggeri, denunciata e bandita da Trieste per i suoi sentimenti patriottici filo-italiani e confinata in un paesino austriaco fino alla fine della guerra. La vicenda è in parte autobiografica: dal 1915 la Gioseffi, irredentista, venne mandata al confino dove rimase fino al 1917. Altra irredentista triestina internata fu Maria Gianni. A Trento, trasformata in città fortezza, la borghese Anna Menestrina teneva invece un diario delle sue attività e delle vicende cittadine durante la guerra.
In alcune donne l’entusiasmo per la guerra fu così grande che vollero partecipare ai combattimenti fingendo di essere uomini. Molte furono impiegate come portatrici e lavoratrici militarizzate, ma alcune furono impegnate al fronte su base volontaria per attraversare di nascosto le linee nemiche e raccogliere informazioni. Fra le figure di donna che combatterono in prima persona viene spesso ricordata Flora Sandes, che inizialmente si arruolò volontaria nella Croce Rossa britannica e operò in Serbia presso il secondo reggimento di fanteria. Durante la ritirata verso l’Albania rimase separata dal suo gruppo e si unì per sicurezza a un reggimento serbo. Fu la prima donna inglese a essere ufficialmente reclutata come soldato. Un caso non così raro nell’esercito serbo, in cui grazie all’esempio della sergente Milunka Savić e della soldatessa Sofija Jovanović l’eroismo femminile era già ben noto fin dalla guerra dei Balcani del 1912-1913.
Se nelle file russe esistevano interi battaglioni al femminile (dal suggestivo nome di “Battaglioni della morte”), in quelle austro-ungariche esisteva invece una Legione ucraina di volontari (Ukrainische Sitschower Schützen) a reclutamento misto, in cui combatterono fin dall’inizio giovani donne spalla a spalla con colleghi maschi. I corpi legionari erano composti da volontari appartenenti a minoranze etniche o politiche non riconosciute in patria, che si arruolavano nelle file “nemiche”. Erano quelli in cui più frequentemente, sotto falsa identità o meno, si arruolavano le donne. Per questo non è facile stimarne il numero.
Dopo un’iniziale diffidenza, la propaganda comprese il valore di queste storie di coraggio femminile, tanto che sulla stampa apparvero sezioni apposite a loro dedicate. La storia di Stanislawa Ordinska, che combatteva sotto falso nome nella Legione polacca, e che ferita venne scoperta, ma curata con tutti gli onori nell’ospedale per ufficiali di Vienna, nel 1915 finì anche sui giornali di New York. La legionaria ucraina Olena Stepaniwna dichiarò a un reporter: “La vita in guerra è ad ogni passo una vera battaglia per i nostri ideali. E se non c’è alcun ideale, non c’è alcun guerriero.” Descriveva il suo compito con toni simili anche la sua collega Sofia Halecko.
Un’altra donna che si distinse per il suo valore in campo fu l’austriaca Viktoria Savs, cresciuta tra Arco (Trento) e Merano (Bolzano), che si arruolò volontaria insieme al padre nel 1915. Negli anni 1916 e 1917 combatté in prima linea sul pianoro delle Tre Cime di Lavaredo. Qui venne decorata più volte per meriti come l’aver catturato da sola 20 soldati italiani. Indossava l’uniforme degli Standschützen grazie ad uno speciale permesso dell’Arciduca Eugenio, comandante del fronte sudoccidentale. A lui, nel giugno 1915, la sedicenne Viktoria aveva chiesto di poter accompagnare il padre. Solo gli ufficiali, tuttavia, erano informati della sua vera identità. Per tutti gli altri lei era il giovane Hansl. A causa di una grave ferita che le causò la parziale amputazione di una gamba dovette lasciare il fronte, ma entrò in servizio nella Croce Rossa, dove venne insignita della medaglia d’argento al valor militare di prima classe. E’ morta nel 1979.
Maria Amalia von Hauler, crocerossina volontaria nell’ospedale da campo 407 di Opicina e poi a Tolmino, dopo la morte del padre partecipò come tiratore scelto, assegnato al battaglione di montagna del Württenberg, all’offensiva di Caporetto e all’inseguimento delle truppe italiane dal Tagliamento al Piave.
Non combatté in prima persona, ma fu presente sui campi di battaglia l’austriaca Alice Schalek, giornalista, fotografa, scrittrice e unica donna reporter durante la Prima guerra mondiale. Proveniente da una famiglia ebrea dell’agiata borghesia liberale viennese, collaborò dal 1903 con la testata Neue Freie Presse, giornale dei liberali austriaci, occupandosi di giornalismo di viaggio fino al 1913. Nel 1914 divenne corrispondente di guerra e fu inviata per raccogliere informazioni e scrivere resoconti dai campi di battaglia in Serbia, Galizia e sui fronti del Tirolo e dell’Isonzo. I reportages e le foto da lei stessa scattate nei cinque mesi trascorsi lungo l’Isonzo furono raccolti nel libro Ab Isonzo. März bis Juli 1916, tradotto in italiano nel 1977 con il titolo Isonzofront. Nel volume, in cui sono raccolte le osservazioni in prima persona della giornalista a Gorizia, a Oslavia, sul monte Sabotino, sull’altopiano di Doberdò, sul monte San Michele e negli altri luoghi dell’Isonzo, i fatti non vengono solo registrati, ma anche rielaborati e reinterpretati. I suoi resoconti divenivano così strumenti di propaganda filo-asburgica (risultato sia di convinzioni personali che dell’orientamento del giornale per cui la Schalek lavorava) quindi la rielaborazione delle notizie seguiva spesso più la logica dell’utilità bellica che la verità storica.
Altre 50.000 donne, oltre al personale sanitario, seguivano il solo esercito austro-ungarico con mansioni d’appoggio di vario tipo, sorvegliate da ispettrici le quali verificavano che i loro servizi non sconfinassero con quelli forniti dai bordelli militari.
Molte furono anche le donne che, per motivazioni diverse (bisogno di denaro, intenti patriottici o ricerca di avventura), prestarono il loro servizio come spie. Era un’attività molto pericolosa, che comportava, in caso di cattura, l’immediata condanna a morte per impiccagione o fucilazione. Fra le più note c’è sicuramente l’olandese Mata Hari: entrata nel servizio segreto tedesco nel 1915, nel 1917 fu condannata a morte e giustiziata da un tribunale francese per presunto doppio gioco e alto tradimento. Ma vi fu anche la belga Gabrielle Petit, che lavorò per il servizio segreto britannico con lo scopo di spiare l’esercito tedesco, ma fu scoperta e giustiziata l’1 aprile del 1916 dal controspionaggio tedesco, e l’inglese Edith Cavell, fucilata il 12 ottobre 1915 dai tedeschi per aver aderito a un’organizzazione clandestina che aiutava i prigionieri di guerra britannici, francesi e belgi a fuggire nella neutrale Olanda.
Per approfondire il ruolo delle donne nella prima guerra mondiale:
- Scritture di Guerra – Diari e memorie femminili Amalia Broz e altre
- Diario da una città fortezza. Trento 1915-1918, di Anna Menestrina
- Frauen der Grenze – donne di frontiera: 13 Frauenbiographien aus Süd- und Osttirol und dem Trentino. 13 biografie di donne tirolesi e trentine
- Le donne: nella prima guerra mondiale in Friuli e in Veneto, di Elpidio Ellero
- Una patria per le donne. La mobilitazione femminile nella Grande Guerra, di Augusta Molinari
- La Grande Guerra delle donne. Rose nella terra di nessuno, di Alessandro Gualtieri
- Le donne e la prima guerra mondiale, di Antonella Fornari
- Le donne nella grande guerra, di Lorenzo Cadeddu
- Donne nella Grande guerra, Editrice Goriziana
- La Grande Guerra. Le donne negate. Perché nella scuola la donna è assente dai libri di storia? di Emanuela Citati Zambelli (clicca e leggi un estratto del libro gratis)
- Donne nella grande guerra, introduzione di Dacia Maraini (clicca e leggi un estratto del libro gratis)
- Una donna alla prima guerra mondiale, di Louise Mack (clicca e leggi un estratto del libro gratis)
- Donne in guerra. La violenza di genere dal primo conflitto mondiale all’Isis, a cura di V. Catania e L. Vaccari