Spesso i soggetti dei film sono stati tratti da romanzi, come per “Addio alle armi” di Ernest Hemingway, da cui sono stati tratti due film, o “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque.
Altri hanno avuto una sceneggiatura originale come “La Grande Guerra” di Monicelli, che sfrondando gli avvenimenti della retorica fascista che la dipingeva come una “guerra eroica”, finì per essere censurato e vietato ai minori alla sua uscita, o si collocano a metà, come “Uomini contro” di Rosi, liberamente ispirato a “Un anno sull’Altopiano” di Emilio Lussu.
Alcuni si riferiscono ad episodi realmente accaduti, come “Il sergente York” (1941) e “Il battaglione perduto” (2001), altri a fatti inventati e ambientati nel periodo storico, anche se con attente ricostruzioni di ambientazioni e riferimenti ai fatti generali, come “Porca Vacca” (1982) di Pasquale Festa Campanile con Renato Pozzetto.
Le sceneggiature si sono evolute col tempo e col variare della sensibilità storica, mentre gli effetti speciali hanno sostituito le scene pericolose girate dal vivo, che in film come “La caduta delle aquile” (The Blue Max, 1966) provocarono incidenti e morti tra gli stuntmen.
Negli Stati Uniti, tra il 1915 e il 1918, vennero prodotti 2.500 film; in Europa, la nuova arte visiva ebbe un esordio un po’ più stentato, ma nello stesso periodo si superarono comunque le 400 opere. Durante la guerra, la maggior parte dei film realizzati ebbe chiari intenti propagandistici, e solo a partire dagli anni ’20 i temi ispirati alla prima guerra mondiale iniziarono ad essere molto più variegati.
I temi che maggiormente si svilupparono durante gli anni della guerra furono orientati, più che altro, all’esaltazione della guerra e ad un certo estetismo del campo da battaglia. Tra i pochi film italiani propagandistici troviamo “Maciste Alpino“, di Luigi Romano Borgnetto, prodotto dalla Itala film (1916), con la regia di Giovanni Pastrone.
Dopo il conflitto, alla propaganda del riscatto nazionalista si sostituì spesso la cinematografia pacifista. “La grande illusione” di Jean Renoir (1937) è forse uno degli esempi più classici di questo filone. Secondo Renoir infatti tutti siamo perdenti di fronte alla guerra, che tiene tutti prigionieri.
L’uomo del popolo interessato a salvare soltanto la propria pelle sarà intepretato magistralmente da Alberto Sordi e Vittorio Gasmann nel film “La grande guerra“, di Mario Monicelli (1957), dove solo nel finale i due protagonisti, catturati dagli austriaci, renderanno onore alla propria divisa.
Il film sembra una disillusa risposta a “Le vie della Gloria“, di Howard Hawks (1936), in cui un gruppo di soldati francesi resiste eroicamente all’avanzata tedesca anche sacrificando la propria vita, in nome di uno spirito superiore, quello dell’onore e della comunanza alla Patria.
Il realismo cinematografico è spesso una delle armi utilizzate dai registi per coinvolgere il pubblico: il film “All’ovest niente di nuovo“, diretto da Lewis Milestone (1930) fu uno dei primi con il sonoro, mostrando le crudeltà della guerra con uno straordinario realismo. Riproposto in una nuova versione nel 1979, e’ tratto dal romanzo “Niente di nuovo sul Fronte Occidentale” di Erich Maria Remarque.
Tutti i registi fanno comunque appello al sentimento umano o attraverso qualche forma di romanticismo o per mezzo della tragedia. Così, nel film “L’angelo delle tenebre“, diretto da Sidney Franklin (1935), il protagonista, prima di partire per raggiungere il fronte francese, desidera sposare la propria donna. Non trovando alcun rappresentante di Dio per celebrare il matrimonio, i due trascorrono la loro ultima notte nel piacere. Qualche tempo dopo, lui rimane ferito in combattimento e resta cieco. La mente del protagonista è offuscata dalla paura di non essere più accettato o peggio venir sposato solo per pietà.
Questo desiderio di riscatto degli umili in guerra è stato ben rappresentato anche nel “Il Sergente York” di Howard Hawks (1941), dove il protagonista, interpretato da Gary Cooper, dopo aver vissuto parte della sua gioventù in povertà, ritrova se stesso prima con il conforto di un pastore e poi diventando un eroe di guerra.
Altri registi utilizzano la paura per dare forza al loro messaggio pacifista. Il francese Abel Gance, nel suo “J’accuse” (1919), parla di un soldato che tornato dal fronte racconta ai suoi amici uno strano sogno: i soldati morti erano usciti dalle loro tombe ed erano tornati alle loro case per vedere cosa era cambiato e per raccontare le atrocità della guerra.
Nel film “I quattro cavalieri dell’apocalisse“, di Rex Ingram (1921), al tema del sogno si affianca ancora quello dell’amore. Il travolgente rapporto tra i due protagonisti, Rodolfo Valentino e Alice Terry, assume un valore altamente simbolico. Il loro amore peccaminoso, in quanto lei è già sposata, è punito dalla giustizia divina allo stesso modo in cui la guerra sta redimendo l’umanità.
Nel secondo dopoguerra, il richiamo del cinema alla prima guerra mondiale assume più spesso dei connotati più propriamente politici. Così, ad esempio, nel film “Oh che bella guerra!“, di Richard Attenborough (1969), gli orrori della trincea non saranno altro che un monito alla tragica guerra del Vietnam. Altrettanto duro e sconvolgente “E Johnny prese il fucile“, del 1971, il cui protagonista rimane senza volto e senza arti a causa delle ferite di guerra.
Altro film francese molto toccante è “La vita e niente altro“, del 1989, con Philippe Noiret, ambientato a ridosso della fine del conflitto.
Infine, imperdibili per chi è appassionato della “guerra bianca”, quella combattuta sulle montagne delle Dolomiti: “Tränen der Sextner Dolomiten – Lacrime delle Dolomiti di Sesto“, del 2013, “Der Stille Berg – La montagna silenziosa” con Claudia Cardinale del 2014, ma anche il ben più datato “Berge in Flammen – Montagne in fiamme“, un film del 1931 diretto da Luis Trenker e Karl Hartl. Tratto da un romanzo dello stesso Trenker, è parzialmente autobiografico.
Ovviamente questa è solo una carrellata generale, anche su Amazon si trovano moltissimi altri DVD sulla prima guerra mondiale