Poesia e fotografia nei libri di Alberto Pattini

Alberto Pattini, noto farmacista e autore trentino, ha recentemente pubblicato tre raccolte di poesie accompagnate da splendide fotografie che ritraggono i paesaggi naturali del Trentino.

Pattini, autore poliedrico,ha confermato con questa scelta la sua capacità di essere “sempre sul pezzo”. Proprio poco prima che il paesaggio, la sua storia, la sua tutela diventassero oggetto di interesse e intervento anche da parte delle istituzioni, lui ha fatto del paesaggio delle nostre Alpi il soggetto di tre libri che mescolano le sue poesie con fotografie sue e di altri autori.
Un tema quindi di estrema attualità, ma contemporaneamente, per sua stessa natura, un argomento vecchio quanto il mondo, almeno da quando ci sono stati occhi per vederlo e lingue per descriverlo.
Non è quindi un caso che la tradizione della poesia descrittiva vanti numerosi autori fin dall’antichità, quando il tema del paesaggio esce dai limiti dell’ekfrasis descrittiva per integrarsi pienamente con il messaggio del componimento. Quando il poeta smette di “guardare” il paesaggio e inizia a “vederlo”. Già in molti testi tardoantichi infatti, scrive l’esperto Donato Gagliardi, la natura “non è più elemento decorativo della poesia, ma la poesia stessa”, proprio come avviene qui. Ed è Pattini stesso a dirlo quando scrive che “sulle pareti a strapiombo / nei torrenti e pascoli / la poesia è già scritta”.

Gli “antenati” di Pattini sono quindi molti, e di tutto rispetto: dall’Ausonio della “Mosella” a Rutilio Namaziano che canta Roma umiliata dal sacco dei Visigoti, per citare i precursori, per arrivare alla Dickinson di “L’estate è finita”, al Rilke de “Il risveglio del vento”, o al Carducci di “San Martino”, per citare due testi che sicuramente tutti abbiamo studiato a scuola, fino ad arrivare a Garcìa Lorca, che intitola una poesia proprio “Paesaggio”.
Un altro autore, suo conterraneo, che ha aperto profondamente il suo cuore alla natura è stato Giovanni Prati, autore di componimenti freschi e immediati quali “La rondine” e “Il grillo”, dai quali traspare tutto l’amore che una persona cresciuta in mezzo a paesaggi meravigliosi può avere per la natura.

Amore di cui parla anche Pattini nell’introduzione alla sua seconda silloge, quando scrive “Amo la natura perché amo me stesso e amando se stessi si ama anche tutto quello che ci circonda”, un concetto poi rielaborato nella composizione “Parole d’amore“. E le sue poesie in effetti entrano nel cuore e nell’intimità della natura alpina, alla quale lui rivolge una vera dichiarazione d’amore.
Un amore che non posso che associare a Pascoli e alla sua “poetica del fanciullino”. Pascoli infatti ritiene che in ogni persona, indipendentemente dall’età, dal lavoro che svolge e dalla condizione sociale, ci sia un fanciullino, ossia uno spirito sensibile capace di meravigliarsi delle piccole cose, proprio come fanno i bambini. La differenza tra il poeta e l’uomo comune, quindi, è nel fatto che il primo riesce ad ascoltare e a dare voce al fanciullino che è in lui. Un concetto che si ritrova anche nel “Piccolo principe” di Exupery e che l’autore stesso esplicita nella sua terza opera nella poesia “Il fanciullo che è in me“.

E a questo punto, visto che ho già tirato in ballo diversi grandi nomi della letteratura, si licet parva componere magnis farei un ultimo riferimento letterario, e non potrebbe essere che a Leopardi, il quale nel suo “Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica” dice proprio che la vera poesia è quella degli antichi, che parla della natura, e non quella dei moderni, “dove tutto è civiltà, ragione e scienza”.

E l’elemento che comprende tutti i temi trattati in questi libri è proprio la natura, in particolare la montagna, che sa essere amica o nemica: luogo di martirio per i tanti che andarono in guerra (Non toccate quei fiori, Agosto 1914, Mi manchi Dove sei speranza?), ma ricca anche di una storia antica e lontana (Lamento del cuculo), percorsa da miniere labirintiche, impregnata di sudore e fatica (Lacrime della miniera), seminatrice di morte, quando la valanga improvvisa ricopre tutto con una coltre candida (Angoscia bianca), ma costellata anche di paesi sospesi tra cielo e terra, quasi immersi in un ambiente ovattato, dove pure si vive, si gioisce e si soffre (Paese di montagna).

In questi versi infatti si parla anche di storia, di tradizione, di arte, di guerre e di pace, di lavoro; delle croci piantate per ricordare giovani vite spezzate e della violenza che ha devastato i monti percorsi dalle trincee durante il primo conflitto mondiale; delle valli e delle case svuotate dagli uomini inviati al fronte o dalle famiglie costrette a rifugiarsi lontano. E il tema della prima guerra mondiale è un altro argomento che è in primo piano in questi anni, ma allo stesso tempo è presente ormai da un secolo nella mente e nella coscienza di ogni abitante di questa terra, toccato spesso dai componimenti. Ma vi si narra anche di paesi quieti alle pendici dei monti, di lavori ripetuti con sapienza antica e raffigurati sui muri delle case; di uno stile di vita fatto di cuore, intelligenza, e solidarietà.
Si ripercorrono quindi in parallelo, con poesia e fotografie, tutti i territori del Trentino, le valli i laghi le cime i boschi, e di ogni angolo si presenta l’essenza: un momento di stupore o di incanto, un ricordo, o un dolore. Non ci sono solo parole di gioia, non c’è solo incantata meraviglia: l’ispirazione si lega anche a note di acuta tristezza, a memorie dolorose che hanno segnato la storia del Trentino e della sua gente.

Nel terzo volume, il più maturo dal punto di vista della poetica, che si fa meno descrittiva, e dei temi trattati, si fa più forte la riflessione sul senso stesso del poetare (Penso e scrivo) e sul legame col territorio e le tradizioni (Filò del Lundi), soprattutto quelle legate alla pastorizia e al lavoro contadino. L’autore si concentra quindi maggiormente sull’identità e sui mutamenti che hanno interessato la società (Vivo nella quiete).

Si stacca inoltre in molte composizioni dalla pura contemplazione e ammirazione verso i paesaggi naturali, accostandoli a sensazioni, riflessioni personali e cogliendone aspetti magici, quasi fantastici (Bacio lunare e Deserto dell’incanto blu).

E’ doveroso, a questo punto, fare un accenno anche alle fotografie che sono parte integrante di questi testi, tutte meravigliose, tutte nate dalla sapiente combinazione di paesaggi e momenti unici con la perizia tecnica di chi le ha scattate. Non va dato per scontato il bisogno che ha sempre avuto l’uomo di fissare, di conservare nel tempo ciò che è bello, ciò che è meraviglioso. Gli antichi greci avrebbero detto “tà deinà”, con un termine molto più ricco di significato. E’ proprio da questo bisogno che nasce l’arte.
E a lungo si è discusso se la fotografia fosse arte. In particolare a causa della sua riproducibilità, perché fino ad allora l’opera d’arte era stata caratterizzata dall’essere unica, inimitabile. Credo tuttavia che raccolte di immagini come queste levino spazio ad ogni dubbio per quanto riguarda il valore artistico della fotografia.

Alberto Pattini, come accennato, è stato autore poliedrico e prolifico negli anni, occupandosi soprattutto di arte e storia. Alcuni dei suoi volumi sono acquistabili qui.

Alberto Pattini è autore o coautore delle seguenti pubblicazioni: